TANINA CUCCIA  

Strappi del

  Tempo

 
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strappi del tempo

La materia racconta
le vicende
senza selezioni,
si carica di tempo
e lo stratifica.
In essa nessuna logica ordina
lo sfarzo,
l’abbandono,
le superfetazioni,
i vandalismi,
i recuperi.

L’occhio attento si ferma, interpreta,
completa,
trasponendo
in quella materia la vicenda umana.

Lo spirito visionario strappa le pellicole dell’oblio e vede
immagini che sono nella materia ma che da essa riescono
a distaccarsi come sottili strati di racconto.

Tanina Cuccia

 

Azienda Agricola Xeravuli Vini
Via Morea
Piana degli Albanesi

 


VISITA VIRTUALE


Inaugurazione sabato 3
dicembre ore 18,30

Palazzo Petrulla Spazio Nobile

Via Torremuzza 6,
Palermo


info: 320 9572551


 


Immagini dell’invisibile. Un itinerario e un incontro tra bellezza originaria e frammentazione
di Rosa Vitale ( tratto dal testo in catalogo)

Attratta dalla figura e dal volto sacro in maniera particolare, l’artista ripropone l’arte figurativa iconografica che le è propria per vissuto personale attraverso un percorso di ricerca autonoma. Le sue opere non definiscono una immagine statica ma danno il senso del “divenire” come processo di rielaborazione del prodotto artistico sia sotto l’aspetto della scelta dei supporti, dei materiali in applicazione, dei pigmenti, dei colori e delle colle, sia sotto il profilo del trattamento successivo del dipinto… lo strappo, l’applicazione di resine per la riunificazione dei pezzi, la collocazione nei contesti espositivi… il tempo, quale elemento imprescindibile per fissare uno dei tanti dipinti della stessa immagine.
La maniera espressiva nasce da momenti di contemplazione e di indagine sui legami tra le figure religiose, che utilizza attingendo dalla propria cultura d’origine.
I temi: i guerrieri asceti, i serafini, le Vergini, le Madonne con bambino, le sante, l’Annunciazione, l’acqua e la preghiera non completata. Essi, divengono simbolo della presenza divina, un “sacramentale” degno della venerazione dei fedeli. Le icone, presenza del Sacro, sono, “vedute sul mistero”, varchi per immettersi in dimensioni diverse dal terreno; espedienti di accesso alla contemplazione; il richiamo è alla mýmesis, testimonianza della fede per mezzo del modello originario.(........)Il patrimonio iconografico di Piana degli Albanesi, luogo di origine dell’artista, è uno scrigno di arte e spiritualità bizantina che arricchisce la Sicilia fin dagli inizi del secolo XVI. L’eredità del Gianbecchina dimostra che il tempo dell’iconografia non è finito e si mantiene viva e continua una tradizione che ha la forza di riproporre quei valori dell’arte e della spiritualità, che non tramonteranno mai poiché sono espressioni tangibili di una viva realtà ecclesiale e sociale, che l’Eparchia di Piana degli Albanesi rappresenta come un unicum in Sicilia e nel mondo. L’artista sostiene di operare non recuperando il passato, ma la ricchezza e la complessità degli elementi inseriti negli affreschi fanno pensare ad una concezione frutto di una “erudita intelligenza umanista” che si rivela anche nelle sovrapposizioni che si integrano e completano nel luogo: stratificazioni su stratificazioni.
Affiorano nuove pitture davvero eccezionali per il loro contenuto dove i frammenti di affreschi costituiscono l’unicità assoluta di un ciclo di dipinti del genere in un luogo dove, nel passato, l’incuria ha permesso di installare gli impianti elettrici anche sopra gli affreschi stessi, attraversandoli con canaline e viti! Ciò nonostante, finalmente, sembra che si sia compresa l’urgenza di dedicarsi a quest’opera, e si manifesta tutta la riflessione dell’artista a un luogo che diviene cornice ideale! Il risultato è una complessa stratificazione di richiami e riferimenti. Ovviamente sia l'ordine liturgico che gli elementi stessi dell'organismo architettonico rispondono ad una serie di significati simbolici, intesi a celebrare la redenzione dell'uomo dal peccato originale.
È una Pasqua di Resurrezione! L’intera mostra diviene una specie di teatro, palinsesto, rappresentazione della memoria visiva e delle nostre stratificazioni culturali.(......) le opere dell’artista celebrano vaghezza e atmosfera evocativa e la realtà appare con i contorni non netti ma sfumati: ricordiamo meglio l’intento didascalico che i volti, più l’atmosfera che la precisione di un momento, più l’estensione oltre l’immagine che i contorni definiti.
Lungo il percorso dell’installazione si percepisce una atmosfera di pace dove i colori si accordano tra loro. Il colore ha una funzione simbolica che agisce come un sentimento, è sentimento stesso che appartiene alla sfera più profonda dell’essere, si esprime come simbologia divenendo un tramite espressivo. Come Goethe, l’artista considera il colore quindi un processo vivente, un’interazione continuamente creativa di luce e tenebra, intese come polarità attive dove il soggetto può avere molte ragioni. Ma nelle opere dell’artista vengono fuori i colori della tradizione siciliana. Come una composizione musicale, le opere nascono partendo dagli accordi principali, prendendo forma poco a poco e successivamente allargano i confini esprimendo la forza dei mutamenti continui in un rapporto tra antico e nuovo, come una tensione interna tra processi di stratificazione, tra continuità e mutamento, coesistenza, differenza e indifferenza. L’intera installazione, con stratificazioni di immagini e manipolazioni del colore dove le opere non hanno il contrasto dei bordi ma ciò che conta è l’appartenenza ad una totalità che con successive elaborazioni manuali dello stesso luogo che accoglie la mostra da luogo ad effetti descrivibili come sovrapposizioni di materiali e colori, di luci e ombre, evocando la nostra città, anch’essa risultato delle stratificazioni di epoche diverse.
Le forme sono nella loro naturale collocazione dove l’artista le ha volute, determinando una composizione equilibrata.
Traspare il tema della presenza-assenza, poiché l’affresco è talora oggettività e distacco, talora espressione della soggettività. Le radici affondano nella infanzia di paese, ma poi emerge un senso di rottura pur esistendo un’ombra nascosta. Le opere si situano in una realtà di mezzo, tra ombra e luce. La luce non è interna, pertanto non interiore, né esterna, dunque slegata dalla realtà oggettiva. Fra luce e ombra, traspare una sfera metafisica che, nei casi più estremi, si presenta come specchio nell’Asceta.
Non è un luogo che si rivolge alla massa: gli altri non esistono, esiste solo l’altro, inteso come propria solitudine di fronte all’affresco. L’altro è anche l’artista: è manifesta un forma di comunicazione con se stessa. Le forme delle opere sono castigate, essenziali, frammenti con un gioco di rapporti di luce, e silenzi… non è facile creare i silenzi anzi, è cosa piuttosto complicata.
Il silenzio è all’interno dell’affresco o all’interno di chi guarda? Chi guarda deve essere predisposto a recepire il messaggio. All’artista non interessa mettere dentro la propria biografia, anzi, di fronte ad esso si mette da parte. Chi guarda invece, può anche interpretare con i suoi sentimenti quello che vede. Così è il messaggio della Vergine di chiesa, opera realizzata su tela e cemento, dove il figlio è assente. Il fruitore del messaggio, risponde al silenzio della superficie pittorica poiché viene trasmesso e perché predisposto al silenzio. Il fruitore rumoroso non può capire. Ma posso anche non percepire il silenzio perché mi metto in una posizione neutrale: esso rappresenta la perdita o è decodifica della voglia di recupero? Tuttavia un quadro non è una scheggia dello spirito dell’artista, è il suo spirito che si è posato su quel tracciato, e la tua spiritualità che non sta sulla superficie del dipinto, è il dipinto stesso. In un quadro non c’è superficie, c’è l’anima. Allora ci sono solo due possibilità: o sono in grado di recepire il tuo messaggio perché sono abituato alla solitudine e la riconosco nella tua pittura, oppure sono totalmente inconsapevole, ma la carica di silenzio che avverto nel tuo quadro risveglia in me un’eco di spiritualità.
Ripetere gli stessi soggetti, per riscoprire e rinnovare sempre la stessa ombra, la stessa luce e la stessa vibrazione e, in modo simile, il silenzio dell’immagine che diventa secondaria rispetto alla continua ricerca di definizione del rapporto tra superficie e interiorità.............